Intervista Luigi Turinese

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Luigi Turinese è un medico, psicologo analista, scrittore ma anche un grande appassionato di musica.  Infatti a dicembre uscirà il suo secondo lavoro discografico intitolato “Passaggi. Il Volo di Mangialardi”, una raccolta di 12 canzoni, che si ispirano al suo vissuto interiore e agli inevitabili stati di passaggio emotivi che segnano tappe cruciali a cui la vita ci sottopone, schiudendo nuove possibili vie da vivere ed esplorare.  Il disco verrà presentato al Teatro Garbatella, in Via Giovanni da Triora 15, il 21 gennaio 2023. Ad accompagnarlo sul palco in questa avventura:
Simone Turinese alla chitarra elettrica, arrangiamenti e produzione artistica, Francesco Cognetti al basso, Adriano Piccioni alla chitarra elettrica e alla chitarra acustica, Fabrizio Sellan alle tastiere, Piero Tozzi alla batteria, e Ines Melpa ai cori.

La musica è un cammino, un percorso. Qual è stato il cammino che l’ha
avvicinata alla musica?

La musica fa parte della mia vita a partire dall’adolescenza. Sono cresciuto
come ascoltatore assiduo negli anni ’70, un periodo in cui da un lato il grande rock si declinava nella complessità del Progressive, dall’altro la canzoned’autore toccava altezze da cui ancora oggi non possiamo prescindere. In quel periodo imparai a suonare la chitarra e quasi subito – avendo da sempre facilità di scrittura – iniziai a scrivere canzoni. Le più belle hanno costituito l’ossatura del primo CD, “Ballate di un’altra estate”, che ho registrato decenni dopo averle scritte, scoprendo che avevano mantenuto una sorprendente freschezza.
Aggiungo, perché ha una certa importanza, che dopo essermi laureato in
medicina frequentai per alcuni anni, senza infine laurearmi, la Facoltà di
Lettere, sostenendo un certo numero di esami, il primo dei quali fu – non a
caso – Storia della musica. Presi 30, portando un lavoro sulle Passioni, con
particolare riferimento alle immortali Passioni di Bach.
Quali sono i suoi punti di riferimento?
Dal punto di vista compositivo, i miei riferimenti sono i cantautori italiani, in particolare quelli della scuola romana (De Gregori e Locasciulli su tutti). La canzone d’autore italiana riconosce due grandi ascendenze: la chanson
française e la tradizione nord-americana, Bob Dylan e il canadese Leonard
Cohen su tutti. La scuola genovese (Tenco, Bindi, Paoli, De André e per li rami Paolo Conte) riceve ispirazione dalla Francia; la scuola romana decisamente dall’America. Io mi sento fratello minore di De Gregori e dunque, come lui, figlio di Dylan.
Cosa ne pensa del panorama musicale di oggi, c’è qualcuno che le piace in particolare?
Condivido il giudizio di Francesco Guccini, che ha dichiarato qualche mese fa che le canzoni che gli capita di ascoltare, più che brutte, gli sembrano inutili. Tuttavia questo a mio avviso vale per la musica che si ascolta nei canali di comunicazione ufficiali. C’è infatti una omologazione che accomuna i generi più corrivi – trap e affini – e i tentativi più autoriali che sono spesso una pallida parodia dei cantautori classici: concordo con Morgan che anche questi “cantautori” descrivano un mondo; ma è un mondo vuoto. Accanto a questi prodotti, che come si sarà compreso non mi dicono molto, esistono delle realtà artistiche importanti, che sopravvivono in un territorio carsico e che bisogna andarsi a cercare, lontane come sono dal mondo della comunicazione ufficiale. Penso a cantautori raffinati come Luigi Mariano o a giovani musicisti come Miriam Fornari, che creano mondi sonori nei quali la forma canzone si dilata e si contamina con sperimentazioni elettroniche che a me ricordano certe avventure musicali degli anni ’70: penso ad esempio al primo Battiato.
Cosa ne pensa dei Talent show?
Non ho una particolare predilezione per il circo… Quando poi si introduce
nell’arte l’elemento competitivo, la gara, la creatività va a farsi benedire. Lo
immaginiamo Leopardi che partecipa a un talent di poesia?
Cosa significa il titolo dell’album: “Passaggi. Il Volo di Mangialardi”?
Passaggi sono gli snodi esistenziali che tutti ci attendono e che, se solo siamo disposti a imparare, ci insegnano qualcosa: la nascita, la morte, l’amore, la depressione, l’immersione in un paesaggio naturale, l’esperienza mistica… La vita come una partita a scacchi è la metafora portante della canzone che dà il titolo all’album. Il sottotitolo si riferisce alla mia personale versione del “viaggio dell’eroe”: un viaggio nello spazio e nel tempo impersonato da un esploratore archetipico, che ho chiamato appunto Mangialardi.
Un lavoro in cui si toccano molte tematiche esistenziali come la nascita, la morte, la malinconia, la vulnerabilità dell’essere umano.  Momenti
che segnano altrettante tappe conoscitive fondamentali della nostra vita.  La musica ha una funzione catartica?
La musica ha a che fare con Orfeo e soprattutto con Dioniso, dunque è una via di conoscenza che utilizza canali a-razionali. Nel caso della canzone d’autore, poi, c’è il fondamentale apporto della componente poetica. Quando le storie che si raccontano incontrano la sensibilità di chi ascolta si può verificare un’esperienza catartica, che la musica ha la capacità di esaltare.
Quanto c’è di autobiografico in questo lavoro?
Tutto è autobiografico quando non si obbedisce alla logica del lavoro su
commissione. E anche in quest’ultimo caso, se si va a scavare, si trova sempre qualcosa dell’autore. Nel mio caso particolare, non dovendo rendere conto a un mercato o a una committenza, la sensazione il più delle volte è quella di tra-scrivere, piuttosto che di scrivere: che poi è un modo per introdurre il concetto di ispirazione. Molte delle canzoni dell’album sono arrivate da sole; certo, poi ci si lavora per “quadrarle”, per trovare una rima, un’assonanza, una sistemazione armonica. Ma il nucleo viene da sé: sospetto che ci sia un Ermes specializzato in consegne ai cantautori…
Cosa rappresenta per lei questo album?
Considerando che il lavoro precedente è stato “ibernato” per qualche decennio e “scongelato” nel 2016, questo album è un lavoro maturo, perché composto nella maturità esistenziale dell’autore; ma al tempo stesso ha l’entusiasmo di un’Opera Prima.
Dove è stato registrato?
Come il precedente, è stato registrato a Tenerife, con giovani musicisti locali; con l’unica eccezione di Francesco Cognetti, il mio “bassista di palco”, che suona in quattro brani. La produzione artistica è di Simone Turinese,
polistrumentista e soprattutto chitarrista egregio, che ha saputo rivestire le mie canzoni con arrangiamenti in grado di esaltarne l’essenza. Non è cosa scontata, poiché un arrangiamento sbagliato può soffocare una canzone. Simone ha una grande qualità: sa scegliere i timbri e gli strumenti giusti per ogni singola storia raccontata in musica, in altre parole trova sempre i suoni su misura per le mie canzoni. In questo disco, a parte la reinterpretazione de “Il disertore” di Boris Vian, l’unica musica non mia è firmata proprio da Simone: un r&r trascinante il cui testo, che lui aveva scritto in inglese, ho voluto tradurre in italiano.
C’è una canzone del disco a cui è particolarmente legato?
In verità mi piacciono tutte. Se proprio devo scegliere, “Ballata di un uomo
solo” mi piace moltissimo perché le chitarre di Simone sottolineano in modo magistrale un testo molto sofferto; e “La notte in cui morì mio padre” per motivi che penso di non dover spiegare.
Che concerto sarà quello del 21 gennaio al Teatro Garbatella?
Il 21 gennaio voglio presentare il CD così com’è: i dodici brani nell’ordine in
cui compaiono sul disco. Per mantenere il più possibile i suoni originali ho
reclutato un gruppo di grandi professionisti: Simone Turinese verrà
appositamente da Tenerife per suonare la chitarra elettrica e per dare la sua benedizione a un lavoro che ha i suoi suoni; Adriano Piccioni, con il quale collaboro da qualche mese, è uno dei migliori chitarristi in circolazione nell’area romana; Fabrizio Sellan è un tastierista di provata esperienza; la sezione ritmica mi accompagna da anni ed è costituita da Francesco Cognetti al basso e da Piero Tozzi alla batteria. Infine ho chiesto alla cantante Ines Melpa di “colorare” alcuni brani con la sua bella voce.
Nella seconda parte del concerto canterò quasi tutte le canzoni dell’album
precedente e ci sarà anche l’intervento di alcuni ospiti speciali.
Tanto per rimanere in tema, possiamo dire che questo è un momento di
“passaggio” importante nella sua vita artistica e non solo…
Sicuramente è così. Innanzitutto perché la musica si sta imponendo in misura crescente nella mia vita, costringendomi a ridisegnare il mio profilo
esistenziale e professionale: a questo punto medicina, psicoanalisi, scrittura e musica sono come vasi comunicanti che si alimentano a vicenda.
Progetti futuri?
Vorrei continuare a dare il mio contributo alla canzone d’autore italiana, come ho fatto in questi ultimi sei anni, portando le mie canzoni ma anche
interpretando quelle dei miei maestri e compagni di strada. Sarebbe bello che si creassero festival dedicati alla canzone d’autore. Recentemente ho assistito a una bellissima situazione del genere a Zurigo, dove il cantautore Pippo Pollina organizza ogni anno una tre giorni di canzone d’autore italiana. In Sicilia sta muovendo i primi passi in tal senso il collega Salvatore La Carrubba. Insomma, non disperiamo ma dobbiamo fare rete. Mi piace anche l’idea di adattare gli organici alle varie situazioni. Recentemente ho suonato in trio acustico, con Adriano Piccioni e Piero Tozzi; e voglio riproporre questa soluzione nei luoghi adatti, magari con l’apporto del basso acustico. Poi sto lavorando a un progetto più intimista, per voce e pianoforte, con Antonio Zito. Certo, vorrei anche che il concerto al Teatro Garbatella non rimanesse un’esperienza unica: sui palchi grandi un po’ di rock ci sta sempre bene…
Ci saluti con un suo motto…
“Ogni malattia è un problema musicale, e ogni cura una soluzione musicale”. Veramente il motto non è mio, è di Novalis; ma mi sembra davvero molto adatto!